venerdì 11 febbraio 2011

“Superporto Unicredit e giochi di parole”

Siamo alle solite. In due giorni siamo riusciti a passare da affermazioni definitive (Sfuma progetto Superporto: Unicredit abbandona Trieste e Monfalcone e punta su Capodistria corroborate dal rinvio della “firma sull’intesa” tra Stato e Regione FVG prevista dapprima per venerdì 11 febbraio e poi rinviata a data da destinarsi) al ritorno di spiragli “possibilisti” (Il Governo offre intese sul superporto) viziati da incognite veneziane (legge speciale “Brunetta” per un superporto “insulare” al largo di Venezia con piattaforma logistica a Marghera). E’ bene rimettere in fila i fatti e tentare, per l’ennesima volta, la ricostruzione di un quadro reale e realistico, scevro da semplici e pure manifestazioni d’intento basate sul nulla, o peggio, su speculazioni elettorali.
Innanzitutto va specificato che gli interventi governativi “promessi” per il Nord Adriatico hanno caratteristiche diverse, tali da permettere la fiera degli equivoci e di giochi di parole in libertà costruiti ad arte dalle attuali maggioranze di governo (nazionale, regionale e comunale) ed alle quali stiamo assitendo da parecchi mesi.
Per quanto riguarda lo scalo triestino va ribadito che l’intervento aggiuntivo alle risorse già stanziate dall’Autorità Portuale (presidenza Boniciolli) per la costruzione della piattaforma logistica è finora l’unica cosa certa e concreta, mentre il CIPE continua a negare, nei fatti, i trenta milioni di euro necessari per l’avvio dei lavori e la Regione FVG è riuscita miracolosamente a liberare ulteriori risorse (5 milioni di euro) da destinare allo sviluppo dell’infrastruttura ferroviaria solo dopo la nomina della nuova Presidente.
Per quanto riguarda il cosiddetto superporto Monfalcone-Trieste, Unicredit ha posto alcune condizioni per “prestare” i soldi e pretende sia lo Stato, con vari interventi, a investire almeno 300 milioni di euro prima di aprire i cordoni della propria borsa. Da rilevare che stiamo parlando di un grande gruppo bancario, che persegue in senso generale il conseguimento di profitti ed in particolare gli interessi dei propri azionisti. Un grande gruppo bancario multinazionale che non dovrebbe avere né “mission” né vocazione alcuna nel campo della programmazione infrastrutturale e portuale italiana, anche se, preso atto dell’inaudita assenza del governo in questo campo, come in quello della programmazione di infrastrutture ferroviarie al servizio dei traffici merci, qualcuno potrebbe anche essere portato a pensare il contrario. E’ per questo e su questo che avevamo recentemente già evidenziato l’impatto disastroso che questo progetto potrebbe avere sul Porto di Trieste. Le condizioni poste da Unicredit però non si fermano qui. Infatti il colosso ha avanzato anche la pretesa che NON vi siano ulteriori interventi concorrenziali da parte dello Stato nel Nord Adriatico, pretendendo una sorta di monopolio a garanzia del proprio investimento, con buona pace delle norme europee sulla libera concorrenza.
E’ in questo preciso contesto che la bozza di legge speciale per il Veneto, che verrà presentata al Consiglio dei Ministri dal ministro Brunetta, nasconde il finanziamento statale al proprio porto istituendo di fatto una speciale “autonomia finanziaria” per decreto ed al solo servizio di Genova. In parole povere non si chiede che lo Stato versi dei soldi ma di poter trattenere una percentuale dell’1% sui traffici e di utilizzare quelle risorse per finanziare ciò che potrebbe servire ad ulteriori sviluppi infrastrutturali dello scalo veneziano. In questo modo eviterebbero di trovarsi nell’attuale situazione triestina, con il CIPE che continua a negare il finanziamento per la piattaforma: a loro non potrebbe succedere, perché tratterrebbero i soldi alla fonte.
Tutto ciò, ove passasse, non potrebbe non provocare una vera e propria “insurrezione” in tutti gli altri porti di interesse nazionale, anche perché il disegno di legge di riforma portuale esistente finora discusso in sede di competenti commissioni nei due rami del Parlamento non prevede alcun reale meccanismo di autonomia finanziaria per i porti, si dice per espressa volontà del ministro Tremonti, che molto probabilmente non potrebbe reggere “un fronte del porto nazionale” se il governo davvero concedesse tali e tanti vantaggi unicamente al Porto di Venezia.
Questa sono le vere ed uniche ragioni per le quali, quando si “entra nel merito” è bene riflettere in modo approfondito, essendo consapevoli di trovarsi in presenza di manovre diversive che per ora riescono a sortire l’unico effetto concreto nell’impedire che i progetti di sviluppo già approvati e quindi attuabili in tempi ragionevoli al Porto di Trieste restino al palo.
Chi continua a propugnare la tesi che in questo lembo di Adriatico in un futuro non tanto prossimo si potrebbero avere 3 milioni di teu a Venezia, 3 a Monfalcone/Trieste ed altri 3 magari a Ravenna, per tacere di Capodistria (più di quanto fanno tutti i porti italiani messi assieme) o non sa di cosa sta parlando, o è un perfetto idiota, oppure, cosa molto più probabile, è in profonda malafede.

Trieste, 11.02.2010
Igor Kocijančič
Consigliere regionale PRC – SE

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