mercoledì 15 ottobre 2008

intervento sul federalismo in occasione della seduta del Consiglio regionale Friuli Venezia Giulia alla presenza del ministro Fitto

Signor Ministro, signori assessori, gentili ospiti, colleghi consiglieri

Mi auguro sia questa una prima opportunità per una riflessione ed un confronto generale di merito su quello che è uno dei termini più abusati in questi ultimi anni sullo scenario politico istituzionale ed anche una delle questioni più controverse ed indigeste per buona parte, se non addirittura per la maggior parte della rappresentanza politica, così come probabilmente risulta ancora incomprensibile – in termini di ricadute pratiche - alla maggior parte dell’opinione pubblica, malgrado abbia rappresentato e rappresenti un vero e proprio manifesto di una forza politica in particolare, mi riferisco alla Lega Nord, che concretizza con l’approvazione del ddl del 3 ottobre scorso una specie di proprio imperativo categorico, tanto da aver dovuto supportare, anche da posizioni di governo, l’attuazione di tale disegno attingendo alla prosa più diretta e ricorrendo a parole forti, non semplice uscita dal governo ma addirittura rischio di una secessione del nord.
Il federalismo è stato uno dei temi più forti e pregnanti alla base della riforma costituzionale, che ne fissò i principi con la modifica dell’art. 119. Questo per dire che in questi ultimi otto anni se ne è dibattuto molto, ma si è proceduto poco, parlandone spesso a sproposito, anche e soprattutto quando si citavano modelli federali consolidati – Germania e Svizzera - per citare quelli più significativi, che davvero non possono assurgere a termini di paragone adeguati di un nuovo modello che ha presentato e probabilmente continuerà a presentare oggettive difficoltà di innesto su un sistema ed una tradizione centralisti che traggono origine già da quella che fu l’Italia prerepubblicana.
Il disegno di legge delega è stato approvato dal Consiglio dei Ministri meno di due settimane fa, ed a far da contraltare alle rassicuranti dichiarazioni rese proprio quel giorno da alcuni ministri, credo fosse presente anche Lei, c’è un appello congiunto di Regioni, ANCI ed UPI per il proseguimento del confronto in Parlamento, appello raccolto e ripreso non più tardi di sabato scorso anche dal Presidente della Camera dei Deputati. Questi fatti a mio parere denotano che esiste ancora un clima di preoccupazione per quello che potrà essere lo sbocco legislativo finale.
Non vorrei impiegare il tempo che mi rimane per esprimere ulteriori perplessità su un approdo che non mi convince affatto e che però appare ineludibile. Vorrei davvero che l’occasione di averLa qui con noi oggi possa servire a chiarire alcuni punti che continuano ad inquietare anche i più fervidi sostenitori del federalismo.
La prima questione ci riguarda molto da vicino, e cioè – come sarà possibile preservare, salvaguardare e rilanciare la specialità – che mi risulta sia uno dei temi sul quale il governo si sia impegnato, come ci ha detto alcune settimane orsono il ministro Frattini. Lo chiedo partendo dal presupposto che quanto anticipato dai media, cioè che la manovra si concretizzerà nel lasciare alle regioni l’80% del gettito IVA, una maggior porzione dell’IRPEF – non meno del 15% - ed il fisco applicato a giochi e tabacchi.
In un quadro così omogeneo le regioni a statuto speciale godranno di ulteriori benefici, quote o percentuali di trattenute, mutuando il modello di fisco federale già in attuazione nelle province autonome di Trento e Bolzano o è previsto qualcosa di altro?
La seconda questione urgente invece riguarda il cosiddetto fondo di perequazione. Da alcune proiezioni che ho potuto leggere non vi è nemmeno un rischio di disparità solo tra quelli che vengono banalmente definiti nord e sud del paese, vi è un di più e cioè che la frattura vera avverrebbe soprattutto tra regioni contermini del mezzogiorno, con Campania e Puglia in posizioni tutto sommato di tenuta e tutti gli altri con disponibilità di risorse del tutto insufficienti a coprire le uscite.
Premesso che il federalismo è uno strumento e quindi non può essere né positivo né negativo a prescindere, così come il centralismo, mentre non sono affatto neutrali gli obiettivi che con essi ci prefiggiamo, rilevo che in questa fase, dove forse ci vorrebbe maggior coraggio per lanciare un federalismo di tipo europeo che tenda ad una miglior qualità della vita, a livelli di salari, standard e servizi omogenei ed unificati verso l’alto, la maggior preoccupazione deriva dai punti di caduta che potrà avere una riforma fiscale in senso federalista tesa a ridisegnare il sistema dentro i confini di uno stato nazionale. Ritengo che chi in questo momento sta ravvisando il rischio di un acuirsi delle disuguaglianze territoriali e sociali nel nostro paese si stia basando su argomentazioni piuttosto solide. Le sarò grato se potrà fare alcune considerazioni anche sui due aspetti che mi sono permesso di evidenziare.

Igor Kocijančič

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